Perché secondo me L’Innocenza di Fausto Olmelli è un capolavoro
Matteo Martone
da “Volevo solo essere felice”, 2003

Sì, l’innocenza è quella bambina. Il suo gesto è innocenza, il suo non conoscere il mondo. Il non sapere che il gatto non accoglierà il suo abbraccio. Ma il suo abbraccio è fermo, spalancato; può durare anni, durerà per anni: durerà finché durerà la sua innocenza. Le manine sono aperte, è accovacciata: proprio come farebbe un adulto per accogliere un bambino: si accovaccia per non sovrastarlo in statura, per tranquillizzarlo, per fargli capire che non si può fidare, per dirgli nel modo più convincente, con tutto il corpo mi metto alla tua altezza, sono come te, vieni. Tutto questo è innocenza, perché è il gatto ad essere più grande di lei e non si metterà alla sua altezza: il gatto non verrà. Il gatto non ha età; ha milioni di anni. È solo estinto. Conosce solo le sue regole e nelle sue regole non esistono i bambini, esiste l’uomo. Esiste la natura, esiste i suo comportamento di felino da sempre e non si muoverà. Non parlano la stesso lingua, questi due. Lei adotta la sua strategia, pura e ingenua; lui adotta la sua. Guardatelo. È in riposo, e invece è ritto. Poggia la coda, e invece l’attorciglia. Asoetta. Non si muove. Non capisce. Non vuole capire. Sente lo spazio con i baffi. Fiuta la distanza e la mantiene, e con la sua immobilità tiene ferma la bambina. Lei non si muove perché lui non si muove. Se appena lei si muovesse, lui sparirebbe in un lampo. È lui che domina il gioco. Eppure le manine sono sempre aperte. Due sagome ritagliate, appena scolpite eppure già perfettamente disegnate. Sono le stesse mani riportate dai cartoni sull’intonaco prima di essere dipinte a fresco. Si vede, nel rosa la grana fina dell’arriccio, uno strato di sabbia fina e calce, dove si stende il colore da far asciugare assieme al muro, da far diventare muro solido proprio come questo intero quadro.
Non importa quel perimetro imperfetto delle mani, perché è proprio così che diventa perfetto. Immagina una persona amata; i suoi lineamenti sarebbero solo i suoi gesti nella memoria, la sua voce, il suo sguardo. Ripensa al volto di tua madre: impossibile immaginarlo come sconosciuto. È un volto senza lineamenti, che ci portiamo sotto la pelle. Pensa al volto di tuo padre. Sapresti dire la curva del suo naso? Sapresti dire l’onda dei suo capelli? Il colore della voce, il suo sguardo? Sapresti disegnarlo? Se fosse, lo disegneresti proprio così, come quelle mani.
Ecco l’infanzia. Instabile, transitoria, ingannevole perché ci permette di capire ancora meno di quello che capiremo da grandi. Ecco il suo tremore, a stento controllato: i due palmi sospesi in aria si muovono appena appena per non far scappare il gatto. Le braccia tese tutte avanti per bilanciare il corpo e diminuire lo sforzo. Potevamo stare così per ore da piccoli. Era bello. E ora non c’è più. Ma questo quadro ci resistuisce chiaro, davanti agli occhi, una immagine di quello che tutti noi, poveri adulti, non abbiamo più: l’innocenza.
Maledetta, necessaria, benedetta perdita dell’innocenza. Non potevamo continuare a stare così, in bilico, come questa bambina, credendo di ingannare e venendo invece ingannati. Ma è bello vedersi di nuovo in quella posizione, guardarsi in quella bambina e sentirsi di nuovo, dopo tanti anni, mortificanti anni di crescita e consapevolezza, disinganno e maledetta perdita dell’innocenza, ingenui e maldestri come lei.
Lei è dolcissima. Lo implora. Non osa avvicinarsi. Sembra che la cosa più bella chepossa avere dalla vita in questo momento, sia che il gatto finalmente si muova e vada da lei e la faccia sentire grane; capace di amare; amata. Quanto può durare questo attimo? Quanta tensione c’è dentro? E come è facile sentirla.
Lui non si muoverà, ma finché lei resterà così, sarà salva. Riuscirà ad evitare il dolore finché resterà così. Non soffrirà finché crederà che il gatto possa finalmente muoversi e venire a lei. Non verrà delusa finché resterà così. Immobile. Ma quanto può durare? Quando finisce l’innocenza? Quanto possono reggere quelle gambine? Quanto la sua piccola mente potrà dolcemente ostinarsi a volere? Quanta delusione potrà provare? Quanta ne potrà sopportare? E quanto ancora noi adulti siamo esattamente così, come questa bambina, e ci ostiniamo a credere di poter semplicemente fare?
Per dire, infine, della più semplice bellezza di questo quadro, di composizione, colore e del suono che evoca, dico del nero dei cannoni e delle campane della Storia, che vibra come questo sfondo. Dico dei gesti trascurati degli artisti, che già avuta l’intuizione si ostinano a non compilarla ma a scavarci ancora, mentre la espongono giocando; dico del colore scrostato dell’arte che attraversa le grandi opere dal ‘300 al ‘900; dico che tanti altri quadri sono dentro questo, e raccontano la stessa vecchia storia in questo modo diverso.
Dico di una sinfonia per gli occhi, di un’intera partitura che si può cogliere tutta assieme, in uno sguardo, oppure voce per voce: come peso e leggerezza dei volumi; misura delle figure rispetto al formato; bilanciamento tra vuoti e pieni, i gravi e i lievi della bambina e del gatto e, su tutto, il rettangolo che delimita lo spazio attorno ai due attori: uno spazio piccolo come la vicenda che contiene, vicenda piccola eppure universale, perché ci parla di ciascuno di noi.
Guardando questo quadro viene da stare zitti, proprio come si sta zitti nei musei. Perché le opere d’arte parlano incessantemente; lasciano perdere l’udito e ci parlano al cuore, allo stomaco, alla mente e ci raccontano la nostra Storia. E così fa questo quadro di Fausto, grande nel suono e nel racconto; per me, un capolavoro.